Indipendenza economica: lo strumento di empowerment al femminile per le pari opportunità

Favorire l’empowerment sociale ed economico delle donne attraverso il potenziamento delle competenze e l’emancipazione economica

Tra il 2015 e il 2018 L’Unione Europea ha finanziato il progetto WE GO! (Women Economic independence and Growth Opportunity), per rafforzare i servizi dedicati alle donne vittime di violenza. Obiettivo: favorire l’empowerment sociale ed economico delle donne attraverso il potenziamento delle competenze e l’emancipazione economica.

Il progetto – che ha coinvolto 4 Stati: Bulgaria, Grecia, Italia e Spagna – ha evidenziato che quasi una donna su quattro è stata vittima di una relazione violenta, le cui cause sono da ricercare nella povertà, dipendenza economica e disuguaglianza di genere.

Its causes are often interrelated with poverty, economic dependency and gender discrimination.

Fonte: WE GO!

Molte donne non lasciano un compagno violento perché non hanno alternative: non hanno i mezzi economici per sostenere se stesse e i propri figli, perché rinunciano presto al lavoro, o ricevono stipendi inadeguati.
Inoltre, spesso mancano di autostima: il clima di svalutazione continua perpetrato spesso in questo genere di relazioni tossiche, si accompagna a un controllo ossessivo della vittima, dei suoi affetti e delle sue amicizie, che la conduce a progressivo isolamento.

A quel punto, priva di autostima e piena di sensi di colpa (è colpa mia che lo lascio fare; è colpa mia che me lo sono meritata), la vittima è isolata:

L’ho lasciato fare, ho subito violenze domestiche per sette anni e mi sono anche scusata ogni singola volta per non essere stata all’altezza delle sue aspettative.
Ed è questa la vera faccia della violenza domestica: economica, psicologica, denigratoria.

Veronica Benini aka Spora: La vita inizia dove finisce il divano

Parliamo di vittime, perché la violenza, anche se statisticamente inferiore, avviene anche a danno degli uomini.
Per approfondire, potete leggere le tavole ISTAT sulle molestie e ricatti sessuali sul lavoro pubblicata il 13 Febbraio 2018, con riferimento agli anni 2015-2016.

Come possiamo invertire questa rotta?
Come possiamo fare in modo che il divario economico delle donne diminuisca?

Il rapporto 2018 di UN Women, l’agenzia delle Nazioni Unite dedicata a studiare la condizione femminile, afferma: “Raggiungere l’uguaglianza di genere non è solo un obiettivo importante in sé e per sé, ma anche un catalizzatore per raggiungere l’Agenda 2030 e un futuro sostenibile per tutti”.

Fonte: Il Sole24Ore

Empowerment: cos’è e cosa significa?

Empowerment è, per definizione, la conquista della consapevolezza di sé e l’acquisizione del controllo sulle proprie scelte e azioni, sia nell’ambito delle relazioni interpersonali, sia nell’ambito della vita politica e sociale.

Si tratta di un processo di crescita interiore basato sulla fiducia in se stessi, sull’auto efficacia e l’auto determinazione: sentirsi capaci di far emergere il proprio potenziale.

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Empowerment individuale o Self-Empowerment

Tanti sono i percorsi che ci permettono di crescere come persone: studiare e formarci, fare esperienze variegate nel lavoro, instaurare relazioni significative, fare terapia psicologica…

Parliamo di soft skill, ovvero l’insieme delle capacità relazionali, comunicative e cognitive della persona che ci permettono di acquisire e potenziare competenze individuali.

I nostri talenti, le cose che siamo brave a fare.

In questo percorso entrano dunque in gioco vari fattori, oltre alla costruzione dell’autostima:

  • il senso di abilità: quanto ci sentiamo competenti nello svolgere il nostro compito
  • la nostra autodeterminazione: il grado di controllo che abbiamo sulle nostre scelte, che non facciamo dipendere genericamente ‘dalla fortuna’ o ‘dal caso’, ma dalla nostra autoefficacia
  • la tendenza all’azione: il desiderio di partecipare all’azione e di padroneggiare la situazione
  • la tendenza alla speranza (hopefulness): la consapevolezza che sapremo gestire anche gli imprevisti
  • l’ideologia dell’influenza: la convinzione che le nostre azioni possano avere un impatto significativo sugli avvenimenti sociali, rendendo possibile il cambiamento.

Empowerment professionale

Cosa posso fare le ragazze, le donne, per combattere la violenza economica?

Prima di tutto, studiare: accrescere le proprie competenze è sempre la scelta giusta.
Al di là del pezzo di carta – che comunque può servire – potenziare le proprie conoscenze professionali è uno degli strumenti per migliorare la propria indipendenza economica.

Secondo i dati Ocse, soltanto il 5% delle ragazze quindicenni in Italia aspira a professioni tecniche o scientifiche. Si vuole spesso far risalire questa scelta a questioni genetiche, uno stereotipo culturale secondo cui il femminile sarebbe “più portato” verso professioni di cura, empatiche, di assistenza.

Fonte: Il Sole 24 Ore.

Non solo gli studi canonici, ma anche studi di tipo trasversale, come imparare molto molto bene l’inglese e magari anche una terza lingua, oppure dedicarsi ad attività creative che potenzino le nostre abilità di problem solving, o ancora frequentare corsi di marketing digitale online, per accrescere la propria cultura nel campo digital.

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Potete anche pensare di lavorare da casa, diventano Social Media Manager e Media Strategist: immaginate la carriera giusta per voi e cucitevela addosso su misura!

A guardare bene lo spaccato per livello di educazione il divario è davvero notevole fra l’80% del tasso di occupazione delle laureate e il 34% di coloro che hanno la terza media o meno ancora, secondo i dati diffusi dall’Istat dal titolo “Conciliazione tra lavoro e famiglia/Anno 2018“, pubblicato a metà novembre.

Secondo punto: lavorare, da giovani, e anche da adulte.

Cercare lavori inerenti i propri studi e le proprie passioni, ma anche lavori in ambito creativo o in ambito sociale: questi ci possono aiutare a potenziare le nostre doti di mediazione, organizzazione ed empatia, per lavorare meglio in team.

Quando una donna abbandona il posto di lavoro per favorire la carriera del marito, seguire i figli, la casa o i genitori anziani, lì inizia la sua dipendenza economica.

Magari non sfocerà mai in violenza, ma se una donna non può contare sul proprio stipendio, se non è libera di spendere i suoi soldi come vuole (al pari di un uomo, si intende), se una donna non ha mezzi di sostentamento che le garantiscano una via di uscita, allora vive comunque in una posizione di sudditanza.

A maggior ragione se questa posizione subalterna viene ulteriormente aggravata da indizi quali: ricevere i soldi contati, dover giustificare ogni spesa, ricevere critiche sulla gestione economica familiare, non aver diritto di esprimere opinione sugli acquisti fatti per la famiglia.

Terzo punto: non restare isolate.

Per affrontare momenti difficili e scelte difficili, occorre avere accanto amici e amiche fidati.
Se in una relazione iniziate a sentire che il vostro compagno o compagna vi privano, poco alla volta, dei vostri affetti, mettetevi in allarme.

È giusto che nella coppia ciascuno possa frequentare i propri amici, senza per forza condividere tutto, ma soprattutto senza doversi agganciare alla compagnia di amici del compagno o compagna.

Non è stato il tumore, quanto le sue conseguenze, a farmi andare in pappa.
Dopo la seconda conizzazione, abbiamo iniziato un percorso di inseminazioni artificiali.
A un certo punto ai controlli mi trovarono un endometrio talmente spesso che i medici mi consigliarono un raschiamento completo.
Presi appuntamento in clinica e mio marito (ex) mi disse che non poteva accompagnarmi perché ‘doveva lavorare’. In realtà era indispettito perché gli avevo chiesto di anticipare il pagamento dell’intervento e non aveva voluto farlo.
Risultato: quando mi toccò il raschiamento ci andai da sola e chiesi a un’amica di venirmi a prendere. La mia amica mi guardava con pena, non sapeva cosa dire.
Ma in quei casi non puoi fare nulla se la donna maltrattata non cambia prospettiva: puoi solo mostrarle altri esempi positivi, essere lì per lei quando aprirà gli occhi. È importante mostrare sostegno.

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Circondarvi di buoni amici vi renderà più semplice esercitare il pensiero critico, ricevere sostegno in ogni situazione (felice o infelice) e soprattutto la possibilità di chiedere e ricevere aiuto se necessario.

Studiare e lavorare: gli strumenti per combattere la violenza economica sulle donne

In Italia abbiamo un tasso di occupazione femminile intorno al 56,2%.
Gli uomini occupati, invece, sono il 75,1%.
Dopo la Grecia, l’italia è lo Stato europeo con meno occupazione femminile: questo ci dice che c’è ancora molto da fare!

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Molte donne, dopo la Laurea, lasciano il lavoro per occuparsi dei figli, in modo che il compagno possa fare carriera: è una scelta, un patto tra coniugi, in cui una persona è funzionale all’altra.

Nulla di male, se funziona, e se vi rende felici.

Il problema nasce quando non ci si ama più: in quel caso cosa potrà fare una donna magari di mezza età, senza alcuna esperienza lavorativa?
Il mantenimento, se viene riconosciuto, è spesso insufficiente per mantenere se stesse, una casa e dei figli. E questo diventa un cappio.

Quando amiamo abbiamo cieca fiducia nell’altro, e di norma questa fede è anche ben riposta.
Ma come donne, non abbiamo il diritto di pensare anche al futuro?

Gender pay gap: divario economico uomo-donna

Il gender pay gap è il divario salariale tra uomini e donne: in parole povere, a parità di mansioni, gli uomini guadagnano di più delle donne.

In Italia questa disparità salariale si attesta intorno al 5%1: ‘incredibile’, vero?

La situazione peggiora, “naturalmente”, se le donne hanno figli. In Italia l’11,1% delle madri con almeno un figlio non ha mai lavorato. Un dato che è quasi tre volte la media dell’Ue pari al 3,7%.
Il tasso di occupazione delle madri tra 25 e 54 anni che si occupano di figli piccoli o parenti non autosufficienti è del 57% a fronte dell’89,3% dei padri.

Fonte: il Sole 24 Ore.

La crisi generata dal Covid-19 ha peggiorato la situazione, ampliando il divario delle disuguaglianze di genere: molte madri hanno rinunciato al lavoro per seguire i figli a casa da scuola. Un dato realmente preoccupante.

Empowerment socio-politico

Uno dei modi per uscire dalla dipendenza economica, dalle disuguaglianze di genere e dal gender pay gap è proprio la politica.

Politica non per forza intesa come adesione a un partito, ma soprattutto come coscienza politica: partecipare, fare attivismo, battersi per i diritti di tutte le donne.

Come diceva Giorgio Gaber, la libertà è partecipazione:

Quante lotte dobbiamo ancora fare come donne, insieme agli uomini, per ottenere la libertà di diventare noi stesse?

La libertà
non è star sopra un albero
non è neanche avere un’opinione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.

Giorgio Gaber

È importante far sentire la nostra voce: parlare dei problemi che riscontriamo in ufficio o in famiglia, parlare di diritti, ma anche di ambizioni, di progetti, di idee. Di ricominciamenti.

Senza aver paura di definirsi femministe.
Perché – attenzione! – il femminismo non è l’opposto del maschilismo: essere femministe non significa né odiare gli uomini, né voler assomigliare agli uomini.

Il femminismo moderno è inclusivo, intersezionale, aperto.

Il sistema cambia solo se il femminismo – non le donne, ché le donne non sempre sono sensibili al problema o hanno una visione d’insieme sul problema sistemico – entra nel dibattito pubblico, politico, filosofico con la dignità che gli compete, e non di striscio, per gentile concessione o perché questo è il suo momento. Il femminismo come pratica e sistema di pensiero, come critica più o meno radicale ai valori della nostra società e alle strozzature imposte dai ruoli di genere; come intersezione di ogni pensiero sull’oppressione patriarcale, che non riguarda solo le donne e anche fra le donne è soggetto a variazioni a seconda della classe sociale, dell’etnia, della cultura di appartenenza; come movimento progressista, con un occhio al futuro.

Giulia Blasi, A cosa ci serve il femminismo

Il femminismo moderno è lì per costruire, non per distruggere.
Ci serve indistintamente, per adottare un pensiero critico che vada a stanare i ‘nodi culturali’ che impediscono a donne e uomini di realizzare se stessi, di autodeterminarsi.
Eccolo lì, l’empowerment.

E a proposito dell’essere ‘brave come gli uomini’, chiudiamo con una nota di attualità recente: le parole di Michela Murgia dirette a Giangiorgio Satragni de La Stampa, il quale, per elogiare la bravura della direttrice d’orchestra Joana Mallwitz, ha recentemente scritto:

Con la Mallwitz si supera finalmente la questione del sessismo sul podio: fa esattamente quello che farebbe un uomo, l’orecchio non percepisce la differenza.

Michela Murgia risponde:

Il sessismo sarà sconfitto non quando una donna dirigerà come un uomo, ma quando tutti smetteremo di pensare che essere maschio o femmina siano parametri di giudizio, sul podio o altrove.

Su Facebook potete leggere il suo articolo completo: Brava come un uomo.

via Cosmopolitan

A noi non resta che invitarvi a leggere, informarvi, studiare: non vogliamo farvi cambiare idea, ma raccontarvi che potete essere chi volete, fare ciò che volete e diventare chi volete.

Perché nessuno possa mai ‘mettere Baby in un angolo’.

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