L’imprenditoria femminile è una delle chiavi utili a sviluppare al meglio l’empowerment delle donne, e diremmo anche viceversa: più le donne acquisiscono consapevolezza sui propri talenti, più sentono di essere capaci di contribuire alla parità dei generi.
Da uno studio del Sole24ore pre pandemia:
Le imprese a conduzione femminile generano un’occupazione di 3 milioni di posti di lavoro, per un valore aggiunto prodotto di 350 miliardi di euro, per due terzi provenienti dai servizi. Una buona notizia che denota il consolidarsi delle tendenze in atto viene dall’imprenditoria giovanile: quelle guidate da una donna under 35 incidono di più rispetto a quelle maschili nel totale dell’economia italiana, il 12,4% contro l’8,4%.
Fonte: IlSole24Ore
I dati post Covid non sono invece incoraggianti: molte donne sono rimaste senza lavoro o hanno dovuto rinunciarvi, per assistere bambini a casa da scuola o genitori anziani.
Questi dati sono ben lontani dal superamento del cosiddetto “soffitto di cristallo” (glass ceiling): sono definiti in questo modo gli ostacoli alla carriera che dipendono da discriminazioni sessuali, razziali o religiose.

The Economist ha creato il Glass-Ceiling Index: fatto 100 il miglior ambiente sociale e politico in cui si sviluppa il lavoro delle donne, l’Italia risulta solo 12esima, con poco più di 60 punti.
Iniziative come Il Giusto Mezzo sono nate proprio per creare delle proposte di metodo e di merito sull’uso del Recovery Fund, per chiedere che la metà di questo fondo venga utilizzata ‘per le donne’ – anche se in realtà questi problemi riguardano l’intera nostra società:
- l’allargamento dell’offerta sulla cura della prima infanzia, dei bambini (nidi e tempo pieno) e della cura familiare in generale (anziani e non autosufficienti)
- il rilancio dell’occupazione femminile
- il gender pay gap, ovvero l’azzeramento della disparità salariale tra uomini e donne
I Diritti delle donne sono al centro del dibattito da decenni: il principio di non discriminazione in base al sesso viene sancito per la prima volta nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948. In seguito a questo, con la Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW) del 1979 si arriva alla definizione della discriminazione di genere.
Stesso concetto ripreso dalle quattro Conferenze Internazionali sulla Donna indette dal 1975 dalle Nazioni Unite, dalle quali emerge questa definizione di empowerment al femminile:
Women’s Empowerment: processo destinato a modificare le relazioni di potere nei diversi contesti del vivere sociale e personale e volto in particolare a fare in modo che le donne siano ascoltate, che le loro conoscenze ed esperienze vengano riconosciute; che le loro aspirazioni, i loro bisogni, le loro opinioni e i loro obiettivi siano presi in considerazione; che possano partecipare ai processi decisionali in ambito politico, economico e sociale.
Centrale in questa discussione è che le donne non chiedono la voce per demolire quanto fatto fino ad ora, ma per partecipare: coinvolgere le donne nei tavoli di lavoro che riguardano temi come il lavoro, l’ambiente, la salute, la finanza, la politica.
Non per avere ‘le quote rosa’, ma per contribuire alla costruzione di una società che è già plurale, ma che al momento parla al maschile singolare.
Abbiamo assistito con ammirazione ad EROSive, il contro Festival dell’Eros e della Bellezza tenutosi a Verona il 18 settembre 2020. In opposizione al fenomeno dei manpanels (i panel tenuti solo da uomini, anche su argomenti che riguardano le donne) ha dimostrato che le scuse sulla mancanza di donne erano senza fondamento.
Il sistema cambia solo se il femminismo – non le donne, ché le donne non sempre sono sensibili al problema o hanno una visione d’insieme sul problema sistemico – entra nel dibattito pubblico, politico, filosofico con la dignità che gli compete, e non di striscio, per gentile concessione o perché questo è il suo momento.
Giulia Blasi, A cosa ci serve il femminismo
Ecco perché è importante parlare di empowerment femminile o, come lo definisce Veronica Spora Benini, FEMPOWER: perché attraverso lo sviluppo di competenze e abilità, le donne possono partecipare alla costruzione di una società e una politica più giuste.
FEMPOWER: stima di sé, autoefficacia e autodeterminazione rendono le donne capaci di fare impresa al femminile
Secondo una Ricerca ASDO e Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale di qualche anno fa, i primi 5 ostacoli incontrati dalle donne leader, sono:
- Difficoltà a vedere riconosciuta la leadership: le donne in media devono lavorare di più rispetto agli uomini, per essere riconosciute ‘degne’ di un incarico
- Difficoltà legate ad incarichi particolarmente difficili: spesso alle donne vengono affidati incarichi di responsabilità nelle situazioni di maggiore criticità, quindi si tratta di opportunità ad elevato rischio
- Ambiente a dominanza maschile: essere l’unica donna (o una delle poche) a dominare in ambiente maschile, spesso genera aspettative elevate da parte dei colleghi uomini, poco inclini ai cambiamenti organizzativi che riguardano il piano della conciliazione lavoro-famiglia
- Ambiente con carriere bloccate: le opportunità di carriera sono limitate per tutti
- Stereotipi e pregiudizi: molte donne ad un certo punto della propria carriera si trovano di fronte a pregiudizi riguardanti la leadership al femminile (non lavorano abbastanza perché hanno il pensiero dei figli, ma se non hanno figli hanno fallito e sono dunque frustrate, o ancora in quanto donne hanno solo la vocazione per le risorse umane e non per i numeri)
Quali sono invece i punti di forza delle donne, nel fare impresa al femminile?
Storytelling: la capacità di sintonizzarsi con la propria nicchia
Secondo lo studio Edelman Earned Brand del 2018, i consumatori sono sempre più propensi a ‘boicottare’ marchi che non rispecchino i loro valori.
E se le donne guidano il 70% degli acquisti, grazie alla propria influenza e al proprio potere di acquisto, è chiaro come questa tendenza porterà a premiare i marchi che si occupano di campagne sociali, ecologia, questione femminile.
In particolare i consumatori vireranno sempre di più sulla scelta di brand che parlano di emancipazione femminile e divario di genere.
E chi meglio delle donne può guidare la trasformazione di questi brand e di queste imprese, che dovranno parlare di donne alle donne?
Le donne dimostrano di essere capaci di fare impresa al femminile sotto molti punti di vista.
Il primo, è legato soprattutto ad uno stile di leadership condivisa; questo tipo di leadership trasformazionale o trasformativa non si basa sul solo scambio di denaro, ma sulla crescita personale: ti incoraggio perché tu possa fare la differenza.
Funziona quando la leader opera per creare una squadra in cui ciascuno si sente valorizzato per le sue competenze e talenti. Quando ad agire sono l’ispirazione e la motivazione, i valori condivisi, la fiducia e dunque anche l’influenza.
Si differenza dunque dal vecchio modello di leadership come transazione, che invece si basa su un meccanismo di incentivi e rinforzi ed è un tipo di direzione passiva, che tende a non intervenire finché non ci si trova di fronte a un problema da risolvere.
Le donne imprenditrici dunque creano valore non solo per se stesse, ma anche per gli altri: sapersi sintonizzare emozionalmente con il proprio mercato riferimento è una straordinaria skill di marketing.
In una moderna strategia commerciale la credibilità del marchio passa anche e soprattutto dalla sua promessa di valore.
Abilità di networking: il potere della collaborazione
Checché se ne dica, le donne insieme sanno veramente fare Rete.
A puro titolo di esempio, possiamo citare almeno 15 Reti femminili nazionali che mettono insieme donne imprenditrici e lavoratrici. A queste esperienze, si aggiungono collaborazioni come il già citato Il Giusto Mezzo, o anche Inclusione Donna, collettore di 62 associazioni femminili su tutto il territorio nazionale.
Le donne hanno imparato a collaborare: possiedono le risorse interiori per fare networking, collaborare tra loro, includere, ma soprattutto condividere il potere.
Le ricerche dicono che le imprenditrici donne sono molto meno legate alla gerarchia aziendale, ma sono anzi più disponibili a creare relazioni paritarie e creare ambienti collaborativi positivi.
Creatività strategica: promozione delle best practices
Le donne sono abituate a trovare soluzioni di conciliazione, essendo scarsi i mezzi di conciliazione offerti dal welfare. Il loro stesso percorso lavorativo è spesso poco lineare: per raggiungere i propri obiettivi e fare carriera, le donne devono inventare spesso nuove strategie.
Questo fa sì che siano particolarmente capaci di trovare soluzioni creative a problemi concreti.
E dunque a creare delle buone prassi aziendali e imprenditoriali, per tracciare la strada delle altre donne.
Capacità di negoziazione: l’attitudine a favorire la partecipazione
Le ricerche dicono inoltre che le donne possiedono la capacità di negoziare.
Non già perché sono remissive, ma anzi perché hanno la capacità di ascoltare le istanze altrui e inventare soluzioni creative.
Ascoltare gli altri, coinvolgerli e dunque spingerli alla partecipazione attiva: questa è un’altra dote che le donne possono apportare nel costruire un modello di imprenditoria femminile italiano nuovo, appassionato e inclusivo.
Per scrivere questo articolo, abbiamo consultato le seguenti fonti:
Vera Lomazzi – La leadership nell’imprenditoria femminile. Specificità di genere nel contesto locale bresciano. Dipartimento di Sociologia, Università Cattolica del Sacro Cuore – Sede di Brescia
Progetto “Raccolta e disseminazione di buone prassi relative alla leadership femminile nel mondo del lavoro nella provincia di Roma”
Progetto di azione positiva – Legge 10.04.91 – n. 125 (RADEL) in collaborazione con ASDO e Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale
Michelle Peluso, Carolyn Heller Baird e Lynn Kesterson-Townes – Donne, leadership e il paradosso della priorità, IBM
Dossier del centro diritti umani – Università degli studi di Padova.